Dal primo discorso di Mosè – Dt 4,1.5-9

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Dt 4,1.5-9

Mosè parlò al popolo e disse:
 
«Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.
 
Vedete, io vi ho insegnato leggi e norme come il Signore, mio Dio, mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?
 
Ma bada a te e guàrdati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli».


Il brano è tratto dal libro del Deuteronomio, l’ultimo dei primi cinque libri della Bibbia che formano un insieme chiamato Pentateuco. Il libro ha avuto la sua redazione definitiva dopo il ritorno del popolo di Israele dall’esilio babilonese (VI-V sec. a.C.). Raccogliendo vecchie tradizioni, è ambientato però in un’epoca molto più antica, e cioè nel periodo immediatamente precedente l’ingresso nella terra promessa. Dopo l’epopea della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e la lenta peregrinazione nel deserto (è qui che si colloca l’episodio dei Dieci Comandamenti), il popolo di  Israele si trova presso le steppe di Moab e la sua guida, Mosè, in tre lunghi discorsi ricorda a tutti quanto accaduto e spiega la direzione intrapresa nel cammino, che è stato insieme: geografico e spirituale. Il tema di fondo è una riflessione sull’alleanza tra Dio e il suo popolo e si muove attorno a questo pensiero principale: se si vuole permanere nella libertà che Dio ha donato, occorre seguirlo in ciò che chiede, cioè la giustizia e la bontà. Osservare le sue leggi è garanzia di prosperità.

Due pensieri possono accompagnare la preghiera sul brano specifico.

Dio si mostra come liberatore, nella storia e nella vita, e vivamente interessato alle sorti degli uomini. Ci ha creati e ci ama. Sostare su questa evidenza, significa seppellire a fondo nel cuore la sua vera immagine, che è quella del bene e che Gesù, Figlio del Padre, ha mostrato in pienezza. È su questa immagine che vanno misurate le tante nostre idee su Dio, spesso false. Esigente e buono, Egli non ci ha creato per scherzo o capriccio, ma per amore, con una destinazione previa alla comunione d’amore con Lui (alleanza). Sapere di avere una vocazione nella vita, uno scopo come chiamata personale, non è cosa da poco.

La bontà di Dio ha la sua prova del nove. Viene da pensare a volte, infatti, che i Dieci Comandamenti (in cui si riassume molto della morale cristiana) siano in realtà delle inibizioni capricciose, divieti gratuiti che impediscono di godere della vita. Farne a meno, rivendicando libertà di scelta, permetterebbe di essere veramente felici. A ben riflettere, però, un mondo dove non fossero giusti i Dieci Comandamenti risulterebbe invivibile. Un mondo in cui, ripassandoli: si dovesse credere a tutto (1), si desse la colpa di tutto a Dio, anche quando la guerra la facciamo noi (2), non ci fosse mai un momento per sostare a celebrare la vita (3), non si volessero più creare legami familiari (4), si uccidesse (5), si vivesse da sporcaccioni (6), si rubasse (7), si mentisse (8) si concupisse nel cuore solo gelosia e invidia (9-10)… sarebbe un mondo infelice e triste. Ecco perché le trasgressioni ai Comandamenti si chiamano peccati. La libertà è un dono da impegnare nel bene, come gioia che permette di partecipare personalmente a questo fine. Impegnarla nel male è possibile, ma distrugge. Così, seguire Dio che è il bene, non sminuisce la nostra dignità (ci ha creati a Sua immagine), ma al contrario, dona la vita. È forse poca cosa l’amore infinito?

d. Fabrizio