La preghiera di Azaria nella fornace ardente – Dn 3,25.34-43

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Dn 3,25.34-43

In quei giorni, Azarìa si alzò e fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse:
 
«Non ci abbandonare fino in fondo,
per amore del tuo nome,
non infrangere la tua alleanza;
non ritirare da noi la tua misericordia,
per amore di Abramo, tuo amico,
di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo,
ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo,
come la sabbia sulla spiaggia del mare.
 
Ora invece, Signore,
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
oggi siamo umiliati per tutta la terra
a causa dei nostri peccati.
Ora non abbiamo più né principe,
né profeta né capo né olocàusto
né sacrificio né oblazione né incenso
né luogo per presentarti le primizie
e trovare misericordia.
 
Potessimo essere accolti con il cuore contrito
e con lo spirito umiliato,
come olocàusti di montoni e di tori,
come migliaia di grassi agnelli.
Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,
perché non c’è delusione per coloro che confidano in te.
 
Ora ti seguiamo con tutto il cuore,
ti temiamo e cerchiamo il tuo volto,
non coprirci di vergogna.
Fa’ con noi secondo la tua clemenza,
secondo la tua grande misericordia.
Salvaci con i tuoi prodigi,
da’ gloria al tuo nome, Signore».


Il brano è tratto dal libro del profeta Daniele, figura leggendaria, rinomato per la sua giustizia e la sua rettitudine. Il libro ha avuto una redazione in ebraico-aramaico tra il 167 a.C. e il 164 a.C. e una edizione in greco intorno al 100 a.C. L’Autore pensa all’epoca della rivolta dei Maccabei (che si erano ribellati ai soprusi del re di Siria Antioco IV Epifane), ma ambienta il libro in un’epoca più remota, cioè al tempo dell’esilio del popolo di Israele a Babilonia nel VI sec. a.C. Protagonista delle vicende è il pio Daniele che, con alcuni amici, sfida il potere dei sovrani babilonesi (come Nabucodonosor) pronto al martirio, ma sempre accompagnato dalla provvidenza del Signore.

Il brano letto è una delle inserzioni in greco del libro, incastonato nella famosa scena della fornace ardente. La vicenda merita di essere letta per intero ed è presto riassunta. Il re Nabucodosonor aveva fatto erigere una statua d’oro verso la quale tutti, al momento designato, dovevano prostrarsi in adorazione. Questo atto, naturalmente, non poteva essere compiuto dagli Ebrei, perché peccato di idolatria, e per questo Daniele e i suoi compagni vengono denunciati. Non volendosi piegare alle disposizioni imperiali, vengono gettati in una fornace per essere puniti con l’uccisione. Anziché morire, però, un angelo del Signore viene a soccorrerli: con le sue ali crea una brezza che tiene lontano le fiamme e permette loro di essere recuperati sani e salvi. Proprio nel mezzo delle fiamme, che gli aguzzini alimentano invano, Azaria-Abdenego, che è nella fossa con Daniele, eleva una supplica penitenziale che loda la giustizia di Dio e confessa il peccato che è stato alla radice del giudizio e del castigo di Israele.

Fare propria la preghiera di Azaria-Abdenego, calandola nella situazione personale, significa riconoscere che la verità su noi stessi, peccatori, può essere umiliante e mortificante. Ma mai senza speranza: Dio non gode della morte del peccatore, ma che si converta e viva. Dio non cessa di essere misericordioso con chi cambia vita e si pone sulla via del bene.

d. Fabrizio

One comment

  1. Quanto è attuale questo brano…vorrei fare risuonare questa invocazione, facendola nostra…
    “per amore del tuo nome,
    non infrangere la tua alleanza;
    non ritirare da noi la tua misericordia”
    Siamo nelle tue mani Signore!

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